L'ambiente
che mi trattiene, e in cui mi in-trattengo, è un museo privato. Pur
se l'accesso è strettamente regolato, io resto continuamente
nascosto dentro il mio museo. Solo che nei dettagli di opere che
affiorano cerco di nascondermi in un modo un po' particolare, perché
anziché acquattarmi dietro qualcosa che mi possa celare, io cerco
di piazzarmi davanti alle cose. Così, per vedere e riconoscere le
cose (che sono visibilissime), non vengo messo a fuoco. Oppure mi si
vede come una cosa che dà fastidio, un alone, un'enorme
schermatura, un elemento di disturbo, un intruso (ho cominciato da
un po' a pensare all'etica che sta dietro agli atti vandalici).
Atti
di vandalismo più o meno dichiarati caratterizzano da tempo
l'antropologia degli scrittori. Forse quello che è sempre mancato è
un tentativo di valutazione, per quanto approssimativo risulterebbe
essere, di quale sia l'atto vandalico più
dissacrante/sacralizzante. Invece di imbrattare il muro, costruiamo
un altro muro a ridosso di quello, che sia come l'originale. Chissà
che non ne traggano beneficio l'ergonomia del vandalo e il valore
del processo critico.
Nessun commento:
Posta un commento