mercoledì 4 febbraio 2015

teatro molto povero - i martiri (quasi come un dialogo)


Essersi messi in marcia – di nuovo, l'incipit è dovuto – di buona lena, mattino molto presto, scorciatoie per eludere il dormiveglia, ancora deserte, da percorrere ripassando due battute, dico due facili (barra) verosimili. Purché qualcosa ci sia infine, il perfetto risonare delle voci secolari.
 
A lamentarsi con i propri lamenti, da casa fin qui (perché poi [stacco repentino] in absentia di novità), se il qui fosse abbastanza capiente e comprensivo dei nostri slanci – a sufficienza, che è una bella parola. Qui non si viene. Da che ne ho il ricordo, quasi nacqui avviluppato tra le pieghe del sipario. Nessun particolare cataclisma – opaco, la memoria nasce ogni giorno. Non è possibile nascere in un giorno solo, record altamente improbabile.
 
Giacché chiami ventre ciò che invariabilmente potresti dire casa, luogo di lavoro, fabbrica, cesso, diorama di Dio, reparto maternità, reparto psichiatrico, mercato – davvero non v'è più niente che possa meravigliarmi o dispiacermi. Sono un cattivo attore. Lascio alle poetesse le fenomenologie del corpo, resto tutto concentrato su me stesso, antepongo le possibilità della parola odore agli odori, custodisco la collezione. Imparando a rendere normale tutto (ciò che) è assolutamente normale.
 
Come se non ci fosse qualcuno che arriva e dice che questo pavimento non è reale, e in effetti non c'è. Come se potesse credersi di un altro mondo, o che ci sia dell'erba, o il parquet. La reggia degli Atridi, per il semplice fatto che stiamo calcando. La penna che in uno spoglio spiazzo ti sta maltrattando. (un paese capace di accogliere un solo spiazzo e nessuno che dice niente è una cosa assurda).
 
C'è da incontrarsi qui con un attore che dicono non essere tanto bravo. Incontrarlo o esserlo, la scelta così non può essere completa.
 
Tu mi sei vicino e il tuo mistero. Quello che si dice fare una bella figura. L'ultima delle comparse sicuramente più in gamba. La tua farsa comincia da molto lontano, quando dormivi era già il canto del cigno. Oggi non si fanno prove. Da dentro non si capisce quand'è l'inizio della giornata.
 
Rifiutare il maestro, rubarne la misera arte – un diritto avuto ed esercitato. Da sempre volevo strapparti la lacrima dal volto, ma la mia faccia non so controllarla.
 
Non sapere chi si era ieri. La questione del tempo e dei tempi non è stata messa in discussione per valutarne le conseguenze sulla lunga distanza. Non disponi di un pubblico disposto a darti una mano – la salute, così, è tutta da attribuire. Perché poi guardarsi intorno, continuare piuttosto anche inconsapevolmente, violentato oggetto del desiderio di una penna comprata apposta. (Tutti guardano).
 
Bella cicatrice interiore da tatuare, a confondere i piani – c'è tempo. Il simbolo è da mettere insieme. Bisogna avere fede nella totalità della pelle, nelle maschere da rivoltare come guanti, non dire rivoltanti. Mia cara figurina di carta. Ombre in sala che si moltiplicano, prendono posto tossicchiando soprattutto, scartando caramelle. Confesso di temere in modo spropositato. Da questa parte neanche uno sfondo in comune – noi stessi fondali di coordinate e costellazioni slegate ad uso e piacere altrui.
 
Congratulazioni ai paraventi delle nudità di colui che si fa schermo e scherno, alla potenza del dono riflesso, al trovare ogni momento uno specchio di fronte. Per tutti conserviamo una voce fraterna.
 
Ogni teatro merita il suo nutrito nugolo di attori. Grato se qualcuno permette di alzare i toni, gridare, gettato alla ricerca di uno, questo risibile. Il pubblico dovrebbe vedere il meno possibile dell'accaduto. Ti sei fermato a guardarmi. Mi tenti con la lacrima, ma che bella forma di aspersorio. Tutto il giorno sbatte contro una benedizione, l'impatto mi fa spalancare il sipario dal ridere, spelonca disertata dai parti dell'immaginazione. Manca l'entrata, manca la botola nel pavimento: una maschera non sarà mai l'inganno di un doppio fondo – sappiatelo.
 
Congratulazioni. Vorrei fissarti per sempre. Sta arrivando gente convinta che sia ora di iniziare. Un bravo attore sa disperdersi in mezzo al pubblico. Perdendoci di vista, troverai chi cerchi – non è detto.




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